mercoledì 18 luglio 2012

CHI HA PAURA MUORE OGNI GIORNO‏

Ieri sera al Teatro Astra di Vicenza Giuseppe Ayala ci ha parlato dell'umanità di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, raccontandoci la storia d'Italia dal 1981 al 1992.
Ci ha resi partecipi della loro amicizia personale e professionale. 

Non è stata una conferenza; nei giardini del teatro Astra era allestito un palco e il magistrato, non attore, se l'è cavata benissimo con la sua splendida presenza scenica e la sua voce accattivante. 
Penso ci sia affinità tra il mestiere di magistrato e quello di attore. 
Era accompagnato da un'attrice professionista che scompariva di fronte a lui, sembrava colombina in una riduzione scadente di una commedia di Goldoni.
Ayala è una persona dotata di ironia e si è commosso per il nostro lungo e caloroso applauso.
Pochi ricordano che Ayala fu il pubblico ministero che al maxi processo, vinse contro la mafia! 
Un fatto inedito, epocale che ridiede credibilità al nostro paese... ma non ci fu nessun riconoscimento, neanche un grazie. 
Ha racconto che dopo il cambio ai vertici della Procura, gli assegnavano solo delitti contro l'enel (furto di energia elettrica). Attualmente esercita presso la Corte d'Appello a L'Aquila.
La realtà è sempre avanti alla fantasia.
Non eroi, non vittime sacrificali, ma uomini dotati di valori, di senso civico e di servizio. Uomini colti, intelligenti, miti e straordinari. Ne abbiamo ancora un grande bisogno.

dalle note degli organizzatori:

Dopo quasi vent’anni dal drammatico 1992 - che ha visto la tragica scomparsa di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino - Giuseppe Ayala ha deciso di raccontare la sua verità, mettendosi alla prova con un nuovo mezzo comunicativo: il teatro. La storia di quegli anni e la straordinaria esperienza vissuta al fianco di Falcone e Borsellino (con i quali condivise la vita professionale quotidiana, ma soprattutto una profonda amicizia), danno vita ad un “incontro-spettacolo” che pone l’attenzione sulla Sicilia, su Cosa Nostra, sulla politica e la giustizia italiana di allora…come di oggi. E’ una storia di vittorie enormi, di alcuni fallimenti, di speranze deluse e tanti luoghi comuni, primo fra i quali che “le stragi fermarono il pool anti-mafia”“Il nostro lavoro non si arrestò per la reazione di Cosa Nostra; noi fummo fermati da pezzi delle istituzioni dello Stato! E’ venuto il momento di chiarirlo”(G.Ayala).
In scena un grande albero di Magnolia, simbolo palermitano della lotta alla mafia. Coadiuvato da musiche originali e dalla proiezione di filmati storici, lo spettacolo è idealmente diviso in 3 sezioni: la prima, dedicata ai giudici Falcone e Borsellino e al loro rapporto con Ayala. Per anni condivisero momenti difficili, drammatici ma entusiasmanti allo stesso tempo; un legame cementato dal trascorrere del tempo lavorando fianco a fianco, ma anche dai viaggi e dalle serate trascorse assieme… fino alla loro tragica scomparsa. Nella seconda parte “rivive” lo storico maxiprocesso del quale Ayala fu pubblico ministrero. Considerata la prima, grande reazione dello Stato a Cosa Nostra, si svolse in un aula bunker costruita appositamente. Il processo terminò dopo quasi due anni, il 16 dicembre 1987. Per leggere la sentenza servì oltre un'ora: 2.665 anni di condanne al carcere vennero divisi fra i 360 colpevoli, oltre agli ergastoli per i 19 boss principali. Durante l’ultima sezione dello spettacolo, Ayala affronta i temi di oggi: le tante indagini ancora aperte, la grande eredità lasciata da Falcone e Borsellino. Lo fa con eleganza ed umanità ed una comunicativa fuori dal comune, capace di affascinare e conquistare il pubblico che lo segue con il fiato sospeso. In lui c’è la partecipazione di chi quelle vicende le ha vissute sulla sua pelle: c'è gran parte della sua vita sul palco. Ma soprattutto c'è il suo irrefrenabile, deciso, fortissimo desiderio di non far dimenticare, di lasciare una traccia per i più giovani. Non è un attore Ayala, ma uno straordinario oratore dalla voce inconfondibile che sa arrivare dritto al cuore e a chi gli domanda se, almeno in parte, si senta un eroe, risponde: "sono solo una persona come tutti gli altri".





P.S.  alla domanda: "cosa si aspetta da questo processo", il fine linguista e bibliofilo, Dell'Utri, risponde "un cazzo" e poi trova il modo di definire "pazzo" il magistrato Ingroia.


Il solito copione di delegittimazione... dejà vu

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