giovedì 19 novembre 2020

La quarantena nella letteratura: Daniel Defoe Diario dell'anno della peste

 

Se oggi, qualcuno scrivesse un diario sulla pandemia in corso, descriverebbe le serie di cifre dei contagiati, dei guariti e dei deceduti, rese note dalle quotidiane conferenze stampa della Protezione Civile italiana e dai diversi protagonisti politici. I social, i blog, le testate giornalistiche, ne hanno dato conto dettagliatamente e ripetutamente, da dare il capogiro e l'assuefazione.

Nel Diario di Daniel Defoe che diversamente da Manzoni, la peste l'ha vissuta in prima persona, si leggono le liste dettagliate dei decessi e della loro ubicazione. Non fu testimone diretto di quanto accadde a Londra in quel drammatico 1665 essendo nato nel 1660 e avendo scritto il Diario nel 1722, ma il suo stile giornalistico rende realistiche le sue descrizioni.

Daniel Defoe, usa una narrazione in prima persona fingendosi un sellaio, il cui nome è indicato con le sole iniziali H.F., che decide di non abbandonare la città per non lasciare i suoi affari e registra giornalmente in un diario gli avvenimenti in cui è coinvolto. Egli, come tutti, s'interroga sui possibili motivi dell'epidemia e mentre riesce a darsi una spiegazione basandosi su eventi naturali, la popolazione attribuisce il fenomeno al passaggio di una cometa portatrice di sventura. Tornano alla memoria le deliranti affermazioni da caccia alle streghe per attribuzione dell'origine e della diffusione del coronavirus, ignorando o eludendo colpevolmente, la smisurata pressione antropica dei nostri tempi.

Sebbene il tono dello scritto sia stringato, vi sono riportati i provvedimenti legislativi per il controllo dell'epidemia, le statistiche parrocchiali e osservazioni riguardanti la società.

E' plausibile che Defoe fece ricerche, consultò documenti e raccolse forse testimonianze orali per ricostruire la scena di quei mesi, per ritrovare i dati della fredda contabilità dei morti e disegnare la Londra martoriata del 1665.

L'autore rende conto, con l’animo del cronista, delle persone più ricche in fuga per il paese, di chi decide di fuggire quando è troppo tardi, di chi fugge ma viene respinto da coloro che cercano di proteggersi, delle strade stranamente silenziose, di chi legge i numeri degli appestati delle altre parrocchie e spera che la peste non arriverà nella sua, e, invece la peste arriva, più violenta che mai e non si sa chi abbia contagiato chi.

Tuttavia, incidentalmente, l’epidemia di Londra portò il ventiquattrenne Isaac Newton a spostarsi in campagna, e lì trovare la necessaria concentrazione per scoprire, nel 1666, la forza di gravità.

"Ogni casa infetta dovrà essere contrassegnata da una croce rossa lunga trenta centimetri, al centro della porta, ben visibile, assieme alla scritta “O Signore, abbi pietà di noi”, proprio sopra la croce, e fino alla riapertura legale di quella casa"

Così recita una delle ordinanze preventive emesse dal sindaco di Londra a fine giugno 1665 e riportate con cura da Defoe.

L’autore annota con crudo realismo le reazioni della popolazione ai provvedimenti dell’autorità e, sebbene la consideri una precauzione necessaria, non nasconde la sua critica a questa forma segregativa di quarantena, che contribuisce a creare un clima di caos psicosociale.

Si interroga sulla bontà dei provvedimenti e sulla natura del contagio, alternando congetture medico-scientifiche, naturalmente relative alla conoscenza dell'epoca, con riflessioni di natura religiosa.

Descrive le case degli appestati che vengono chiuse e vigilate da un guardiano, le fughe degli appestati dalle case sbarrate, le grida dei sani rinchiusi anch’essi nelle case segnate, e poi le infermiere, povere donne che entrano nelle case di morte, per morire anche loro, i monatti che gridano di portare fuori i morti e muoiono essi stessi, chi guarisce dai bubboni, chi invece è sicuro che verrà contagiato e abbandona le precauzioni per concedersi un ultimo attimo di normalità; e poi numeri, somme, tabelle, una contabilità metodica per dare sostanza al contagio con cifre che disegnano il fronte di un’onda d’urto che avanza inesorabile.

Il sellaio/cronista, registra come gli appestati diventino pericolosi nel momento del delirio e quindi ritiene sia giusto confinare nelle abitazioni le persone contagiate per evitare che non rispettino gli altri.

Defoe delinea l’avanzamento dell’epidemia dalle periferie alla City e pone l'accento sul rapporto tra malattia e condizione sociale. Infatti nota che muoiono soprattutto i più indigenti, svantaggiati dalle pessime condizioni igieniche che favoriscono la proliferazione di ratti e pulci, gli untori della peste bubbonica, di cui i medici dell’epoca ignoravano il ruolo chiave rivestito nella diffusione della malattia.

Nel Diario sono anche descritte le implicazioni economiche e sociali che la peste ebbe su tutti, e in particolare sui ceti meno abbienti; tanti si ritrovarono senza casa e senza lavoro, costretti ad accettare di fare i lavori più rischiosi, come monatti, custodi o infermiere, per non morire di fame.

Sembra che Defoe stia raccontando il nostro recente passato:

dell'uomo più ricco d'Italia che lascia il paese, delle fughe dalle città del nord alla volta del sud, di chi ha sottovalutato l'epidemia perché ancora lontana, dei contagi incontrollati nelle case di riposo e negli ospedali, della reclusione nelle nostre case, delle città deserte, popolate di animali selvatici, delle forze dell'ordine che pattugliano il territorio e che talvolta interpretano le normative in modo tanto discutibile da costringere il Ministero degli Interni ad intervenire.

Dei medici, degli infermieri e degli altri operatori sanitari che si ammalano e che troppo spesso muoiono. Di chi cerca uno spiraglio di normalità.

Dei continui richiami al restare a casa, un mantra ripetuto per il rispetto degli altri e per il lavoro di chi resta impegnato sul fronte delle necessità, come il personale sanitario e i lavoratori del commercio che continuano a prestare il loro servizio.

Delle curve dei grafici che inesorabili avanzano con progressione matematica.

Anche i migliori cronisti odierni puntano l'attenzione sul legame tra contagio e povertà, raccontando le condizioni di vita nelle periferie del mondo: le carceri, i campi profughi e gli accampamenti dei lavoratori stagionali, dove è difficile praticare il distanziamento sociale, non sono disponibili i dispositivi di protezione e l'igiene può essere molto precaria.

All'ordine del giorno della cronaca odierna ci sono le implicazioni economiche e sociali che la pandemia sta già mostrando: la trattativa nell'Unione europea sugli interventi economici, le controverse disposizioni per le riaperture delle attività produttive, gli aiuti economici messi in essere dal governo e chi stretto nella zona grigia del lavoro nero e non garantito, ne pagherà il prezzo più alto.

È certo che la maggior parte dei poveri o famiglie che in precedenza vivevano del loro lavoro, o del commercio al dettaglio, campavano ora di elemosina; se non fossero state fornite straordinarie somme di denaro dai più caritatevoli la City non avrebbe potuto sopravvivere”.

La Grande Peste di Londra, ebbe un numero di vittime compreso tra un quinto e un quarto dell’intera popolazione cittadina.

Il conteggio dei decessi totale per l’anno 1665 presenta, alla voce “peste”, un numero di vittime spaventoso che Daniel Defoe identifica come riduttivo, come emerge anche dai versi che concludono l’opera:

“una peste spaventosa a Londra ci fu nell’anno milleseicentosessantacinque.

Spazzò via centomila anime, eppure io sono ancora qui”

Tra i superstiti del disastro figura un bambino londinese: Daniel Defoe.

Considerato il padre del romanzo moderno inglese e l’inventore del giornalismo da tabloid, Defoe si dedicò alla letteratura solo in età avanzata, durante un periodo di reclusione che scontò per aver diffamato la Chiesa d’Inghilterra; la scrittura in prigionia lo accomuna a Marco Polo, De Sade, Oscar Wilde, Torquato Tasso, Miguel de Cervantes e molti altri. In precedenza si era occupato delle più svariate attività: mercante, proprietario di una fabbrica di mattoni, consulente per il governo e saggista.

Il suo romanzo più celebre, Robinson Crusoe, apparve nel 1719 che è secondo solo alla Bibbia nel numero di traduzioni. Morì nel 1731.

Dall'incipit del Diario dell’anno della peste:

Eravamo più o meno all’inizio di settembre del 1664, quando, dai discorsi dei miei vicini di casa, sentii dire che la peste era di nuovo ricomparsa in Olanda. Secondo loro era stata un’epidemia molto violenta, particolarmente ad Amsterdam e a Rotterdam, dove, l’anno precedente, era stata portata qualcuno diceva dall’Italia, altri dal levante, fra le mercanzie delle flottiglie turche; altri ancora dicevano che proveniva da Candia o da Cipro. Comunque, importava poco da dove fosse venuta, tutti erano d’accordo sul fatto che fosse nuovamente ricomparsa in Olanda.

Il contagio che viene da lontano ma, a differenza di oggi, il dibattito sul paese responsabile dell’origine dell’epidemia, è influenzato dalla mancanza di mezzi di comunicazione di massa.

Subito arriva un’annotazione sul mondo della carta stampata. Il narratore sostiene che:

all’epoca non c’erano giornali che diffondessero voci e notizie sugli avvenimenti, e che le ingigantissero con la fantasia degli uomini, come in seguito vidi fare”.

Tuttavia le avvisaglie del contagio furono ignorate

fu così che la notizia gradualmente perse il suo carattere di urgenza, la popolazione cominciò a disinteressarsene, come se non riguardasse nessuno di noi o potesse bastare la speranza che non fosse vera a neutralizzarla”.

"Un male spalanca sempre la porta a un altro male: queste paure e apprensioni indussero il popolo a infinite debolezze, idiozie e perversità, e non c'era bisogno, per questo, che fossero persone davvero inclini al peccato, ma tutti correvano in ogni luogo da chiromanti, indovini e astrologhi per conoscere il proprio destino, o - come si dice volgarmente - per farsi predire la sorte, o leggere l'oroscopo, e via dicendo. Questa insensatezza fece presto pullulare la città di una perfida schiera di presunti esperti in magia nera, come la definivano, e in non so cos'altro, che si dichiaravano capaci di commerci con il demonio più di quanto non ne fossero in realtà colpevoli; tale attività venne praticata così diffusamente e alla luce del sole che divenne una cosa consueta mettere insegne sopra la porta di casa con scritto "Chiromante", "Astrologo" oppure "Qui si leggono gli oroscopi", e cose simili, e si vedeva in ogni strada la testa in ottone di Ruggero Bacone, che era un simbolo comune nelle case di queste persone, oppure il segno di Madre Shipton o della testa di Merlino, e via dicendo. Davvero non ho idea di quali ridicole, irragionevoli e insensate assurdità venissero impiegate da questi profeti demoniaci per soddisfare e accontentare il popolino, ma di sicuro numerosissimi avventori si accalcavano ogni giorno alle loro porte; e se capitava di intravedere per strada un tipo dall'aria serissima, con la giacca di velluto, il collare e un mantello nero - che era la divisa indossata di solito da questi sedicenti indovini - la gente prendeva a seguirlo a frotte, e gli correva dietro tempestandolo di domande.
 "Non serve che io spieghi che si trattava di un orribile imbroglio, né che io ne illustri gli scopi, fino a che non vi pose fine la peste stessa, ripulendo - suppongo - la città di gran parte di quei ciarlatani. Uno dei loro trucchi era questo: se la povera gente chiedeva a questi falsi astrologhi se sarebbe venuta o meno la peste, quelli rispondevano di sì all'unanimità, perché sapevano che questo manteneva in vita i loro commerci: se il popolo non fosse stato tenuto nella paura della peste, gli indovini sarebbero diventati immediatamente inutili e il loro potere sarebbe finito, ma quelli continuavano invece a parlare alle persone di certe influenze stellari, delle congiunzioni di certi pianeti che avrebbero sicuramente portato malattia e infermità e, di conseguenza, la peste; alcuni osavano addirittura raccontare ai loro uditori che la strage era già cominciata, cosa che sarebbe stata anche vera, ma quelli lo dicevano senza saperne assolutamente nulla."

Il richiamo è all'odierna tardiva rivalutazione del sapere, sopratutto di quello scientifico, in un recente passato mortificato dai continui tagli alla ricerca, all'università e a tutto il sistema formativo, dal: “con la cultura non si mangia”, dal de potenziamento del welfare, dagli sbeffeggiati “Professoroni”, tutto in nome del primato dell'interesse economico su salute e sicurezza per riportare la politica alle sue responsabilità. Oggi si nomina una task force, terribile temine militare che evoca violenza senza regole, per sostituirsi al governo nel dirigere la fase due, formata da professoroni comandati da un uomo che, in un’intervista, si è vantato di “aver sistemato la Grecia” e che sostiene il suo business del 5g perché permetterà a «Sistemi medici di avere in tempo reale le condizioni di una persona e iniettare o magari rilasciare una sostanza medica che è necessaria per le condizioni della salute... cioè si potrà fare tutto in remoto quasi istantaneamente». Uno spaventoso TSO trattamento sanitario obbligatorio gestito dalla tecnologia!

Il futuro immaginato dalla letteratura del secolo scorso, è diventato il presente.

Un libro da leggere perché il sapere e la memoria sono i soli veri vaccini contro le catastrofi umane.

La rievocazione ha il fine preciso di raccontare l’emergenza e soppesare i comportamenti razionali e irrazionali del corpo sociale, in modo da consegnare ai posteri un resoconto dettagliato che faccia da pietra di paragone.

Karl Marx scrisse:
La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.