venerdì 24 settembre 2021

Lode al dubbio

Sia lode al dubbio!
Vi consiglio, salutate serenamente e con rispetto chi
come moneta infida pesa la vostra parola!
Vorrei che foste accorti, che non deste
con troppa fiducia la vostra parola.

Leggete la storia e guardate
in fuga furiosa invincibili eserciti.
In ogni luogo
fortezze indistruttibili rovinano
e anche se innumerabile era l’armata salpando,
le navi che tornarono
le si potè contare.
Fu così un giorno un uomo sulla inaccessibile vetta
e giunse una nave alla fine
dell’infinito mare.

Oh bello lo scuoter del capo
su verità incontestabili!
Oh il coraggioso medico che cura
l’ammalato senza speranza!

Ma d’ogni dubbio il più bello
è quando coloro che sono
senza fede, senza forza, levano il capo e
alla forza dei loro oppressori
non credono più!

Oh quanta fatica ci volle per conquistare il principio!
Quante vittime costò!
Com’era difficile accorgersi
che fosse così e non diverso!
Con un respiro di sollievo un giorno
un uomo nel libro del sapere lo scrisse.

Forse a lungo là dentro starà e più generazioni
ne vivranno e in quello vedranno un’eterna sapienza
e spezzeranno i sapienti chi non lo conosce.
Ma può avvenire che spunti un sospetto, di nuove esperienze,
che quella tesi scuotano. Il dubbio si desta.
E un altro giorno un uomo dal libro del sapere
gravemente cancella quella tesi.

Intronato dagli ordini, passato alla visita
d’idoneità da barbuti medici, ispezionato
da esseri raggianti di fregi d’oro, edificato
da solennissimi preti, che gli sbattono alle orecchie
un libro redatto da Iddio in persona,
erudito da impazienti pedagoghi, sta il povero e ode
che questo mondo è il migliore dei mondi possibili e che il buco
nel tetto della sua stanza è stato proprio previsto da Dio.
Veramente gli è difficile
dubitare di questo mondo.
Madido di sudore si curva l’uomo
che costruisce la casa dove non lui dovrà abitare.

Ma sgobba madido di sudore anche l’uomo
che la propria casa si costruisce.
Sono coloro che non riflettono, a non
dubitare mai. Splendida è la loro digestione,
infallibile il loro giudizio.
Non credono ai fatti, credono solo a se stessi.
Se occorre, tanto peggio per i fatti.
La pazienza che han con se stessi
è sconfinata. Gli argomenti
li odono con gli orecchi della spia.

Con coloro che non riflettono e mai dubitano
si incontrano coloro che riflettono e mai agiscono.
Non dubitano per giungere alla decisione, bensì
per schivare la decisione. Le teste
le usano solo per scuoterle. Con aria grave
mettono in guardia dall’acqua i passeggeri dl navi che affondano.
Sotto l’ascia dell’assassino
si chiedono se anch’egli non sia un uomo.

Dopo aver rilevato, mormorando,
che la questione non è ancora sviscerata vanno a letto.
La loro attività consiste nell’oscillare.
Il loro motto preferito è: l’istruttoria continua.

Certo, se il dubbio lodate
non lodate però
quel dubbio che è disperazione!
Che giova poter dubitare, a colui
che non riesce a decidersi!
Può sbagliare ad agire
chi di motivi troppo scarsi si contenta!
Ma inattivo rimane nel pericolo
chi di troppi ha bisogno.

Tu, tu che sei una guida, non dimenticare
che tale sei, perché hai dubitato
delle guide! E dunque a chi è guidato
permetti il dubbio!

Bertolt Brecht

venerdì 17 settembre 2021

Parliamo la lingua di Dante... Poesia pura

Il 13 settembre 2021 sono trascorsi 700 anni dalla scomparsa di Durante di Alighiero degli Alighieri. Non so se Google gli abbia dedicato un doodle, ma ricordo che non lo fece per Leonardo da Vinci. Per celebrarlo qui, alcune espressioni dantesche di comune utilizzo che arrivano proprio dalla Divina Commedia o dalla Vita Nova.

Nel mezzo del cammin di nostra vita incipit del primo canto dell'Inferno e dell'intero poema. 

Fa tremar le vene e i polsi (Inferno, I, 90) Dante, dopo aver ritrovato la strada fuori dalla “selva oscura”, incontra tre bestie feroci, in particolare una lupa, che lo spaventa a morte. 

Non mi tange (Inferno, II, 92) Come fa, Beatrice a venire fin quasi all’Inferno e non soffrirne? Il male non la tocca, o meglio, non la “tange”. 

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate (Inferno III, 9) iscrizione posta sulla porta dell’Inferno.

Il gran rifiuto (Inferno, III, 60) coniata da Dante per riferirsi al rifiuto di Celestino V, la cui rinuncia aprì la strada al cardinale Benedetto Caetani, papa Bonifacio VIII. 

Caron dimonio, con occhi di bragia (Inferno III, 82-111) 

Senza infamia e senza lode (Inferno, III, 36)

stava a indicare l’atteggiamento degli ignavi e la loro gravissima colpa, cioè quella di non aver preso una posizione in vita.

…Non ragioniam di loro, ma guarda e passa (Inferno III, 51)
situazioni (o persone o cose) per cui non vale la pena perder tempo.

... che tu vedrai le genti dolorose channo perduto il ben dellintelletto. (Inferno III, 18-20) ignavi che hanno vissuto solo a metà, senza godere pienamente dei vantaggi dati loro dallintelletto umano.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse (Inferno, V 136)

Amor, ch’a nullo amato amar perdona mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona (Inferno V, 103)

Nulla addolora maggiormente che ripensare ai momenti felici quando si è nel dolore. (Inferno V)

Fatti non foste a viver come bruti... ma per seguir virtute e canoscenza (Inferno XXVI, 119-120) Ulisse, incita con tali parole i suoi compagni a seguirlo nell’impresa di attraversare le colonne d’Ercole, allora considerate il confine della conoscenza.

Cosa fatta capo ha (Inferno, XXVIII, 107) Lo pronuncia Mosca dei Lamberti, che gira per l’inferno con le mani tagliate e il sangue che gli zampilla sulla faccia. Secondo la leggenda la frase venne pronunciata per indurre una famiglia alla vendetta, per un affronto. Basta titubanze, disse. Lo scontro fu molto grave perché portò alla divisione tra Guelfi e Ghibellini.

Stai fresco (Inferno XXXII, 117) dove i dannati vengono colpiti da gelide raffiche di vento prodotte dalle ali di Lucifero, l'espressione viene ancora usata per indicare qualcosa che andrà a finire male. 

Gabbo/gabbare (Inferno XXXII, 7) Dante sottolinea come descrivere il fondo dell'universo non sia una “impresa da pigliare a gabbo".  

Il fiero pasto (Inferno XXXIII, 1-78) Il Conte Ugolino sta divorando il cranio dell'arcivescovo Ruggieri, colui che in vita fu la causa di tutte le sue sventure. 

Il bel Paese là dove ‘l sì suona (Inferno XXXIII, 80) nell’opera dantesca la definizione dell’Italia è completata da “dove si parla la lingua del sì” come da tripartizione effettuata nel De Vulgari Eloquentia: lingua del sì in Italia, lingua d’oïl nella Francia del Nord e lingua d’oc nella Francia del Sud, rispettivamente italiano, francese e occitano.

Libertà va cercando, ch'è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta (Purgatorio I, 70-72)

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! (Purgatorio VI,  76-78)

Inurbarsi (Purgatorio XXVI, 69) verbo inventato da Dante, per indicare i trasferimenti in città. Non altrimenti stupido si turba, lo montanaro, e rimirando ammuta, quando rozzo e salvatico s’inurba…

Quisquilia (Paradiso XXVI, 76-77) Traducibile con “pagliuzza”, metaforicamente, con il significato di “bazzecola, inezia, piccolezza”.

L’amor che move il sole e l’altre stelle (Paradiso, XXXIII, v. 145)

E quindi uscimmo a riveder le stelle (Inferno XXXIV, 139) è l'ultimo verso dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Non può comprendere la passione chi non l’ha provata. capitolo XXVI della Vita Nova.