Di fronte al delirio bellicista in atto nell’Unione Europea, viene da
chiedersi se non siamo ormai di fronte a un caso macroscopico di
psicopatologia politica: sono in atto tutti i meccanismi difensivi
descritti da Freud. Il primo è la negazione: del reale, del contesto,
delle proprie pulsioni distruttive ecc., che ormai si è spinta a un
punto tale, psicotico, da divenire denegazione, forclusione (cioè
perdita del rapporto con la realtà, tipico della psicosi). Poi la
proiezione, lo spostamento, la scissione, la rimozione, l’idealizzazione
di sé. Del resto, proprio Freud in Il disagio della civiltà,
ma anche nel suo epistolario-dialogo con Einstein, aveva tematizzato lo
sfondo psicoanalitico della guerra. A tale sfondo si accompagna anche
una robusta dose di infantilismo politico, che contribuisce ad
alimentare una deriva fanatica e irrazionale che sacrifica i veri
interessi dei popoli europei, e la loro stessa volontà, al mantenimento
di un falso Sé europeista. Quindi c’è il cinismo, ci sono gli interessi
(anche inconfessabili), ma è in gioco una questione esistenziale,
identitaria dalle implicazioni profonde, che toccano il lato oscuro
della costruzione europea.
C’è sicuramente un elemento di
distruttività (introiettata), legato a una vera propria sindrome
ossessivo-paranoide (castronerie antistoriche come il paragone
Putin-Hitler, l’idea che siamo in pericolo perché l’Europa sta per
essere invasa dalla Russia, ipotesi priva di qualsiasi fondamento
politico, anche banalmente dal punto di vista pratico-militare).
L’Europa è inconsciamente angosciata innanzitutto da se stessa. L’UE
oggi custodisce l’ortodossia ideologica neoliberale e globalista.
L’America di Trump è tecno-mercatista, ma anti-globalista. Su questa
base accetta il pluriverso mondiale, puntando a un modus vivendi
nelle relazioni internazionali, e cerca di guadagnare dei vantaggi
strategici posizionandosi al meglio nella competizione globale. Inoltre
ha messo in discussione i dogmi liberal e chiuso con il fanatismo woke.
Rispetto alla decisiva questione ucraina, punta a una pace possibile,
realistica. Mentre l’UE, umiliata innanzitutto da se stessa, dai propri
madornali errori, dalla propria cecità, è preda dell’isteria. Eppure,
nonostante la propaganda forsennata, voci e analisi non sono mancate,
che mettevano in luce non solo l’infondatezza, ma la fragilità e
l’autolesionismo della posizione UE sull’Ucraina. L’esito fallimentare
della politica imposta dai dem americani e subito accolta in modo del
tutto subalterno dagli europei (persino da chi più l’avrebbe subita e
pagata, cioè i tedeschi) era prevedibile, ed era stato previsto (ad
esempio da Mearsheimer e Todd). Da un certo punto di vista, che l’unica
Europa “politica” (peraltro illusoria e antidemocratica) che riescono a
concepire sia il suo simulacro bellicista, non sorprende, essendo l’UE
uno strumento di spoliticizzazione tecnocratica. Quindi politica in
senso proprio può darsi solo in forma fantasmatica, come sintomo e non
come risorsa strategica. Di fronte all’irruzione del reale che Trump e
Vance rappresentano, l’oligarchia europea reagisce aggrappandosi alla
paura e all’emergenzialismo. Nonostante abbia a disposizione mezzi
potenti, anche sul piano mediatico, non c’è consenso. Per questo viviamo
tempi pericolosi, perché potrebbe accadere, o potrebbe essere cercato,
un “incidente”, che imponga il fatto compiuto.
Attualmente, in America c’è politica, in Europa no. Magari è una
politica rozza, con robuste sacche di stato di natura, che peraltro non
sono certo una novità dell’oggi, ma è indubbio che con il movimento MAGA
si sia manifestata un’energia politica nuova, per quanto ambivalente,
che ha segnato un cambiamento egemonico nella società americana. Non a
caso Trump ha scelto come vice Vance, un hillbilly che ce l’ha fatta e
che proprio in virtù della sua storia, raccontata nell’interessante
autobiografia Elegia americana (ma il titolo originale è proprio Hillbilly Elegy), non aderisce all’establishment
globalista e pseudoprogressista ma dà voce, essendone un figlio,
all’America profonda e popolare, deindustrializzata e abbandonata. Un
profilo più politico rispetto al Trump businessman e pragmatico: Vance
porta contenuti sociali significativi, espressivi di problemi reali, al
“significante populista” Trump, “vuoto” (lacanianamente) ma non del
tutto, e per questo in grado di sussumere istanze diverse, trasversali e
anche contraddittorie: domande popolari e spinte tecnologiche,
l’esigenza di ritorno ai territori e alle produzioni domestiche e
rilancio della sfida spaziale, “buon senso” popolare e mitologia
dell’IA. In questo contesto, Vance è chiaramente un’alternativa, o
perlomeno un contrappeso, a Musk (con tutti i suoi inquietanti profili
transumanistici e ipertecnoprivatistici). L’acidità dei “leaders”
europei verso Vance si spiega proprio con questa sua “verità”, che gli
deriva dalla matrice e dal parlar franco: è come se avesse messo loro di
fronte uno specchio rivelatore. Peraltro, il discorso che ha fatto a
Monaco è stata una lezione di lucido realismo politico nelle relazioni
internazionali e al contempo una prova di fiducia nella sovranità
popolare e nel libero confronto delle idee, ciò che ai censori
eurocratici palesemente manca. Del resto, l’Europa è diventata il luogo
della spoliticizzazione. Un continente senza identità.
L’UE, che ne è
il vettore, è esattamente l’opposto di come viene contrabbandata (un
embrione di Europa politica, una potenza civile ecc.)
Rimanendo dentro il suo schema, possono generarsi solo “simulacri di resilienza” (come la Linke
in Germania, il Fronte popolare per finta – facile preda della
strumentalizzazione macroniana – in Francia, o la pseudo-sinistra
radicale in Italia). Utili solo all’oligarchia eurocratica neoliberale e
globalista.
Ma che cos’è, in definitiva, l’Unione Europea? Non è uno Stato federale; non è una confederazione; ma non è neppure semplicemente un’alleanza (sebben sia basata su dei trattati, i cui “signori” restano ovviamente gli Stati). Ha una moneta senza Stato né governo politico dell’economia, il che impedisce logicamente una vera integrazione economico-finanziaria solidaristica e politiche fiscali comuni; ha un apparato tecnocratico elefantiaco, intorno a cui ruotano cospicue lobbies; soffre di sovrapproduzione normativa, ha un potere giudiziario invadente e auto-espansivo, ma non è un vero Stato di diritto; non ha una costituzione, ma ha un trattato che è stato pomposamente qualificato come costituzionale; ha un parlamento, ma non è una vera democrazia rappresentativa (ciò che implica, tra l’altro, che la rappresentanza politica del conflitto sociale vi sia inibita: probabilmente uno dei suoi veri scopi dopo Maastricht, in omaggio all’ideologia ordoliberale). Insomma, è un sistema di dominio tecnocratico-finanziario, centrato su un’ipertrofia giuridica e sulla governance come gestione tecnica. Il tutto condito da una melassa moralistica sempre più scollata dalla realtà e anche dalla verità storica. Dal punto di vista della cultura politica, una bolla illusionistica.
L’inidentificabilità dell’UE ha portato ad attribuirle le
qualificazioni più fantasiose. O meglio, a usare metafore improbabili
per coprire il fatto che non si sapeva che cosa fosse. Ma se non si sa
dire in cosa consista un fenomeno, c’è perlomeno un problema. Se poi si
tratta di questioni che investono il diritto pubblico (interno,
internazionale, comparato), la cosa si fa imbarazzante per la scienza
del diritto (positivo), ma anche per la teoria del diritto (e della
politica). Diciamo che i giuristi, ma in generale gli “intellettuali”,
avrebbero dovuto prendere sul serio la questione…Invece la si è presa
come un’opportunità, inseguendo le illusioni post-sovrane e
post-statuali, con una forte semplificazione del tema identitario,
linguistico-culturale e nazionale, e aggirando per via funzionalistica
il nodo politico della decisione. Si è generata così una politica
“indiretta”, apparentemente mite, o a bassa intensità, che ha sostituito
alla complessità della politica la spoliticizzazione moralistica e
tecnocratica. Ciò ha contribuito a depotenziare l’Europa, non alleanza
tra pari, strumento di cooperazione tra Stati, ma coacervo dilatato
(dopo l’improvvido allargamento ad Est) e opaco di interessi in
contrasto e fideismo. È questo pregresso che ha portato, a valanga, a
una serie di rovesci clamorosi, all’austerità e alla dissennata gestione
della crisi finanziaria innescata dai mutui subprime americani
(presentata strumentalmente come crisi dei debiti sovrani, in realtà dei
debiti privati, cioè delle banche, soprattutto tedesche e francesi): un
vero e proprio piano inclinato verso la perdita di legittimazione e
consenso. Fino al totale fallimento in Ucraina e al sostegno al massacro
di Gaza. Bisogna prendere atto del fatto che il triste esito di un’UE
fallita politicamente e moralmente è l’enfatizzazione parossistica
dell’ostilità, l’abbandono del pensiero critico e di un sano realismo,
l’autoaccecamento, la cattiva coscienza condita da un suprematismo
morale tanto isterico quanto di essa compensativo. Tutto, pur di fuggire
dal reale. Un mix grottesco e pernicioso di bellicismo, impotenza e
marginalizzazione geopolitica.
In quella malia suggestiva
dell’indefinibilità dell’UE sono caduti in molti. Alcuni in buona fede
(il clima genericamente ma indefettibilmente europeista degli anni
Novanta aiutava). Ma è stata anche, per alcuni abili navigatori, non a
caso uomini per più stagioni, che hanno pilotato la sostituzione della
costituzione economica prevista dalla Carta del 1948 con quella di
Maastricht e dell’euro, una forma di supponenza intellettuale e cinismo
politico-carrieristico. La narrazione era che si stesse realizzando,
seppur gradualmente, tra arresti e avanzate, una cosa talmente nuova che
non si sapeva neppure dire che cosa fosse, e che però rappresentava un
sicuro progresso. Invece di chiedersi, più realisticamente, se ciò non
fosse un limite, un problema da affrontare e possibilmente superare, in
ogni caso un segno di difficoltà. L’UE è un UFO, un oggetto volante non
identificato, oppure un calabrone, pesante, non bello da vedersi, che
però vola. Questo era il discorso dominante, veicolato dall’alto.
Ebbene, l’UFO è atterrato sul pianeta Marte (o vorrebbe): il pianeta del
dio della guerra. E la facies del calabrone è sempre più
devastata, dal punto di vista estetico-politico. I tentativi di
replicare ancora – stancamente, e proprio per questo con modalità sempre
più parossistiche -, quegli schemi interpretativi producono effetti
imbarazzanti.
Alla fine, si diceva, conta l’effettività
funzionalistica dell’integrazione. Una versione triviale del classico
tema dell’effettività. Solo che se, quando il consenso traballa,
l’osservanza viene imposta con la forza e quindi l’effettività diviene
mera costrizione con il potere emergenziale che l’UE si è di fatto
attribuita, inevitabilmente tutta la sua precaria impalcatura tiene
sempre meno. Non sorprende che per evitare di affrontare un difficile
ma necessario discorso di verità, di fare i conti auto-riflessivamente
con un fallimento frutto di una strada sbagliata che a un certo punto è
stata intrapresa, o che è diventata prevalente, si finisca per tradire.
nel disperato tentativo di comprare tempo e rimanere a galla, quegli
standard costituzionali e assiologici di cui ci si ammanta
ipocritamente. La verità è che quando una “classe dirigente” (per modo
di dire) fallisce così clamorosamente e colpevolmente, se ne deve andare a casa.
L’oligarchia eurocratica (tanto a Bruxelles, a Francoforte, a
Strasburgo e in Lussemburgo, quanto nelle capitali dei paesi membri) lo
sa, e lotta per sopravvivere. Il problema è che forse è disposta a far
pagare qualsiasi prezzo ai popoli europei, dal fortino ultra-atlantista
che è rimasta a presidiare da sola (con il Regno Unito, ma è da vedere
fino a che punto i britannici saranno disposti a disallinearsi
dall’eterno alleato americano, fratello minore divenuto da tempo assai
maggiore).
Di recente Ferrajoli ha proposto di andare in piazza con l’Europa peggiore in nome dell’Europa migliore (nella manifestazione serrapiattista del 15 marzo). Verrebbe da dire: continuiamo così, facciamoci del male! Inoltre ha prospettato l’idea surreale di una grande alleanza (anche con von der Leyen e Macron) contro il fascismo globale. Ma il nuovo fascismo è il mainstream. Che, ad esempio, annulla le elezioni ed esclude arbitrariamente candidati sgraditi (come in Romania, ma si capisce che la tendenza può estendersi). Del resto, la deriva postdemocratica, e ora apertamente antidemocratica, è in atto da tempo (la lettera Trichet-Draghi e il ricatto alla Grecia ne furono chiare avvisaglie). Il precipitato di quel “nuovo fascismo” che profeticamente aveva intuito Pasolini. Tanto per abbassare il livello, il “nuovo fascismo” di chi sforna (e osanna) piccoli “prodotti” di consumo seriale su Mussolini che esprimono perfettamente, con la loro mediocrità antistorica, nemica di ogni serio approfondimento critico, l’apocalisse culturale denunciata da PPP nella forma della “mutazione antropologica”. Del resto, questa è oggi l’opera principale della comunicazione e dell’intrattenimento dell’establishment: ripetere all’infinito ai ceti medio-alti presuntamente riflessivi, in realtà affetti da irrimediabile “mezza cultura”, quello che si vogliono sentir dire. Per continuare a non capire nulla. E soprattutto, per carità, non farsi venire mai un dubbio, che possa eventualmente spingere a pensare (impresa disperata, in effetti). È il correlato postmoderno, neoliberale e pseudoprogressista, del “fascismo degli antifascisti” di cui scriveva sempre PPP: “esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più. (…) Ecco perché buona parte dell’antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede”. Del resto, come diceva Flaiano, “i fascisti si sono sempre divisi in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”.
Ma, per concludere, torniamo alla cara UE, questa presunta “tappa esemplare del processo di unificazione del genere umano” (così sempre Ferrajoli). Ora, la cosa grottesca è che decenni di spoliticizzazione, di predicazione post-sovrana e post-statuale, si risolvono in un’adesione fanatica a un simulacro del “politico”, ovvero al riarmo come feticcio, che dovrebbe portare a chissà quali esiti storici (l’Europa politica?) e garantire l’autodifesa europea (ma presumibilmente è appunto solo il tentativo disperato di un élite perdente e mediocrissima di rimanere a galla). Il risultato è un pastrocchio irrealistico e ingannevole, profondamente ingiusto (i soldi per le armi si, per gli ospedali no), peraltro in totale contrasto con tutto quello che il clero europeista ha sempre predicato retoricamente (siamo un presidio civile di pace). Se non fosse pericoloso, ci sarebbe da sbellicarsi. L’UE sta andando esattamente nella direzione opposta rispetto a ciò di cui ci sarebbe bisogno: cogliere l’opportunità per una tregua che, attraverso un compromesso, ponga le basi di una pace stabile e ci faccia uscire dall’incubo di una terza guerra mondiale. Quindi, se si cerca la pace e si rispetta la pluralità del mondo, mai alla manifestazione del 15 marzo. E se si auspica che in Europa, in particolare nel nucleo storico dei Paesi fondatori, risorga una politica di cooperazione tra Stati basata innanzitutto sul rispetto dei popoli europei, occorre rovesciare la logica dell’UE.
Fonte: https://www.lafionda.org/2025/03/13/psicopatologia-politica-dellunione-europea/